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Pubblicazione: 16-07-1997, STAMPA, TORINO, pag.23

Sezione: Societa' e Cultura
Autore: Bosco Gabriella

Tra scienza e letteratura, una raccolta di saggi esplora la sensazione umana piu' misteriosa Solletico, il piacevole torturatore Come diventa padrone assoluto

PARIGI. Io mi posso accarezzare, mi posso dare uno schiaffo o tirare un pugno, mi posso massaggiare. Non mi posso fare il solletico, non servirebbe a niente. Come si spiega questa incontrovertibile e misteriosa verita': la stessa identica stimolazione esercitata a mano socchiusa con la punta delle mie dita nello stesso identico punto del corpo - sotto l'ascella, sulla pianta del piede, nell'interno della coscia, lungo la spina dorsale - fa morir dal ridere l'Altro, o me se e' lui a solleticarmi, mentre non sortisce effetto alcuno se lo faccio io a me o lui a sè? Lo si spiega comprando il numero estivo della rivista L'Ani mal di Thierry Hesse, interamente dedicato al tema Le chatouillement. Il solletico vi e' sviscerato in mille modi, dal saggio scientifico alla storiografia, all'aspetto linguistico, a forme di creazione in suo onore, racconti, poesie, disegni. Gli autori chiamati a testimoniare sono i piu' vari, da Lucrezio a Diderot a Heidegger a Joris- Karl Huysmans. Gli articoli in sommario curiosi e imprevedibili: su solletico, prurito e sfregamento in Michelangelo attraverso alcuni sonetti a Tommaso Cavalieri, sul Trattato delle passioni di Cartesio, sulla prossimita' tra il termine che significa grammatica e quello che indica il solletico in ebraico. Le pagine piu' istruttive sono senz'altro quelle di Philippe Choulet intitolate “Piccolo trattato del solletico”, in cui si spiega innanzitutto che cos'e' esattamente. Il punto di partenza e' il suo caratterizzarsi come esperienza del limite. Se Pascal ritiene che lo starnuto assorba “tutte le funzioni dell'anima”, per Spinoza viceversa la titillatio “prende” tutto il corpo e “impedisce cosi' che il corpo possa essere occupato in altra maniera”. Se c'e' il solletico, non c'e' altro. Il che potrebbe garantirgli uno statuto ontologico. Ma il rischio e' quello di sbagliare direzione d'indagine, se ci si fida della lingua. Ad esempio, il francese, che chiama chatouilleux sia colui che patisce esageratamente il solletico, sia colui che e' estremamente irascibile. O che dice che i boxeur si “solleticano ai fianchi” per indicare qualcosa di molto poco scherzoso, e che le “narici sono solleticate” quando un aroma stuzzica l'appetito. O ancora che definisce “solleticatore teatrale” l'individuo incaricato di ridere a ogni battuta pronunciata sul palcoscenico, in modo tale da contagiare il pubblico e aiutare il successo della piece. Per procedere con ordine, e capire il fatto sia a partire che a prescindere dalla lingua, Choulet compara differenti idiomi. In chatouillement, cio' che salta agli occhi e' la presenza di chat, gatto. Il riferimento e' all'alto grado di sensibilita' e alla qualita' dei recettori sensoriali dei felini. “Non si fa il solletico a un dinosauro sotto la zampa ne' a uno scorpione sotto la pinza”. E la corazza puo' essere effettiva o di carattere, per cui non si ha voglia di fare il solletico a Greta Garbo, ma a Marilyn Monroe si', e piu' ancora all'Olivia di Braccio di Ferro, per ridere del suo modo di contorcersi. Il kitzeln tedesco indica sia solletico che prurito e kitzelig puo' essere termine sia delicato che scabroso, pare per la sua vicinanza a kitzler, clitoride. L'inglese titilla, l'italiano - dal latino - lo fa “dal di sotto”: solletica, da sub- titillica. Mentre il greco alterna tra il delicato e l'irritante, l'esasperante (garagalizo - knizo). In altre parole, c'e' modo e modo come c'e' gente e gente, ma c'e' anche grado e grado all'interno dello stesso modo e da parte della stessa gente. L'importante e' ricordare la distinzione essenziale stabilita da Platone: mentre il fatto di grattare e' legato a “malattie che mancano di eleganza” ed e' sempre “risposta, re-azione, cura” momentaneamente piacevole del prurito, il solletico non e' risposta a nulla, bensi' in se' “pienezza di un piacere che non e' negazione di nessun dolore”. Atto gratuito per eccellenza, insomma. Forse qui sta il principio della spiegazione. Ed e' forse questa la ragione per cui se mi viene fatto il solletico, pur protestando in apparenza, in realta' mi lascio andare al punto di abbandonare qualsiasi forma di difesa e diventare “puro corpo che ride”. Ma poi c'e' anche la questione dell'impossibile equilibrio. Parte costitutiva del solletico e' la sua doppia appartenenza: all'ambito del piacere e a quello del dolore, della gioia e della sofferenza. E non e' possibile stabilire dove si trovi la soglia tra l'uno e l'altro. Pare che negli Stati Uniti fosse stata inventata una macchina che faceva il solletico. Dovette subito essere tolta dal mercato, perche' c'erano gatti che vi si sottoponevano fino a diventare pazzi. E Fernandel, nel film Francois I di Christian-Jacque legato con una capra che gli lecca la pianta dei piedi, ride senza poter smettere ed e' il suo un supplizio paragonabile a quello di Tantalo. E' come se tutto il mio essere, solleticato, diventasse ascella, piede, coscia, spina dorsale. Il solletico mi toglie la possibilita' della presa di distanza rispetto al mio corpo, della rappresentazione, della riflessione. Tutto si confonde nel solletico, e ogni interiorita' risulta negata. Pare che io, se sono una persona normale, non possa autoinfliggermi tanta piacevole sofferenza, ne' tanto doloroso sollazzo.
 
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