Nel Web c'è un clima ostile per le donne
Uno studio denuncia che chi appare con nomi femminili ha 25 probabilità in più di attirare frasi offensive o minacciose
LONDRA - Blogger + donna = paura. La rete è un posto inospitale per chi non è uomo, con casi di violenza verbale che vanno oltre la misoginia. Termini e minacce espliciti al punto da obbligare alcune scrittrici del web a chiudersi in casa. L'accusa arriva da Jessica Valenti, direttrice di Feministing.com che dalle pagine del Guardian ha lanciato un appello conto il cyberbullismo, un incoraggiamento a «stroncare quella che è una tendenza sempre più diffusa che rischia di trasformare la grande rete in una zona franca per linguaggi e comportamenti che nel mondo reale innescherebbero l'intervento della polizia».
IL CASO - Il caso più eclatante è quello di Kathy Sierra, blogger nonché programmatrice di software che la settimana scorsa ha annunciato di aver cancellato tutte le sue conferenze perché terrorizzata da commenti arrivati sul suo sito. Roba irripetibile su stupri, soffocamenti e impiccagioni. Ma se la sua è una vicenda che ha fatto il giro del mondo, non è che la punta dell'iceberg.
LO STUDIO - Secondo uno studio dell'Università del Maryland, negli Stati Uniti, chi scrive sul web con nome femminile ha 25 probabilità in più di attirare frasi denigratorie: in media, si parla di 163 messaggi sessualmente espliciti o minatori al giorno a testa. Un'enormità che secondo Alice Marwick, ricercatrice dell'università di New York, paventa la possibilità che «la rete venga usata per creare un ambiente in cui esprimere vedute razziste, omofobiche o sessiste che non sono più accettabili nella società, sul lavoro o tra le quattro mura di casa».
IL LINGUAGGIO - Secondo Jill Filipovic, 25 anni, avvocato, columnist del sito Feministe, c'è stata una "sessualizzazione" del linguaggio usato dai navigatori di Internet. Se l'insulto tipico per un blogger machio è "idiota" per la donna si passa subito a "puttana". Ne sa qualcosa. In risposta ai suoi articoli c'è chi le ha chiesto quanti aborti ha avuto e chi le ha promesso violenze di ogni tipo, spesso - più inquitante ancora - accompagnando le parole a fotomontaggi esplicativi. Il tutto è aggravato dal fatto che, come fa notare Valenti, "se qualcuno ti insulta per strada stai male, ma giri sui tacchi e te ne vai: se qualcuno lo fa online le sue parole rimangono sul web sino alla chiusura del sito in questione". Mettendo il nome di Jessica su Google, ad esempio, "boobgate", ovvero scandalo dei seni, è uno dei primi argomenti a saltar fuori. Questo grazie a una fotografia scattata al termine di una colazione con Bill Clinton e diversi altri blogger. Valenti indossava una maglietta grigia, lunga, neanche particolarmente attillata che ha comunque attirato apprezzamenti pesanti, non solo maschili, ma anche sul sito gestito da Ann Althouse, editorialista (femmina) del New York Times. «Non è facile - precisa Valenti - far carriera come scrittrice femminista se quando entri in un pub la gente ti chiede se sei quella dei seni».
CORRIERE DELLA SERA 06 aprile 2007
P.S. Questo comportamento può essere anche associato ad un irrobustimento collettivo della barriera inibitoria nei confronti della sessualità perpetuato dalla civiltà... Pensate tra breve la rete sarà invasa da miriadi di piumasolletica (forse anche peggio)
Uno studio denuncia che chi appare con nomi femminili ha 25 probabilità in più di attirare frasi offensive o minacciose
LONDRA - Blogger + donna = paura. La rete è un posto inospitale per chi non è uomo, con casi di violenza verbale che vanno oltre la misoginia. Termini e minacce espliciti al punto da obbligare alcune scrittrici del web a chiudersi in casa. L'accusa arriva da Jessica Valenti, direttrice di Feministing.com che dalle pagine del Guardian ha lanciato un appello conto il cyberbullismo, un incoraggiamento a «stroncare quella che è una tendenza sempre più diffusa che rischia di trasformare la grande rete in una zona franca per linguaggi e comportamenti che nel mondo reale innescherebbero l'intervento della polizia».
IL CASO - Il caso più eclatante è quello di Kathy Sierra, blogger nonché programmatrice di software che la settimana scorsa ha annunciato di aver cancellato tutte le sue conferenze perché terrorizzata da commenti arrivati sul suo sito. Roba irripetibile su stupri, soffocamenti e impiccagioni. Ma se la sua è una vicenda che ha fatto il giro del mondo, non è che la punta dell'iceberg.
LO STUDIO - Secondo uno studio dell'Università del Maryland, negli Stati Uniti, chi scrive sul web con nome femminile ha 25 probabilità in più di attirare frasi denigratorie: in media, si parla di 163 messaggi sessualmente espliciti o minatori al giorno a testa. Un'enormità che secondo Alice Marwick, ricercatrice dell'università di New York, paventa la possibilità che «la rete venga usata per creare un ambiente in cui esprimere vedute razziste, omofobiche o sessiste che non sono più accettabili nella società, sul lavoro o tra le quattro mura di casa».
IL LINGUAGGIO - Secondo Jill Filipovic, 25 anni, avvocato, columnist del sito Feministe, c'è stata una "sessualizzazione" del linguaggio usato dai navigatori di Internet. Se l'insulto tipico per un blogger machio è "idiota" per la donna si passa subito a "puttana". Ne sa qualcosa. In risposta ai suoi articoli c'è chi le ha chiesto quanti aborti ha avuto e chi le ha promesso violenze di ogni tipo, spesso - più inquitante ancora - accompagnando le parole a fotomontaggi esplicativi. Il tutto è aggravato dal fatto che, come fa notare Valenti, "se qualcuno ti insulta per strada stai male, ma giri sui tacchi e te ne vai: se qualcuno lo fa online le sue parole rimangono sul web sino alla chiusura del sito in questione". Mettendo il nome di Jessica su Google, ad esempio, "boobgate", ovvero scandalo dei seni, è uno dei primi argomenti a saltar fuori. Questo grazie a una fotografia scattata al termine di una colazione con Bill Clinton e diversi altri blogger. Valenti indossava una maglietta grigia, lunga, neanche particolarmente attillata che ha comunque attirato apprezzamenti pesanti, non solo maschili, ma anche sul sito gestito da Ann Althouse, editorialista (femmina) del New York Times. «Non è facile - precisa Valenti - far carriera come scrittrice femminista se quando entri in un pub la gente ti chiede se sei quella dei seni».
CORRIERE DELLA SERA 06 aprile 2007
P.S. Questo comportamento può essere anche associato ad un irrobustimento collettivo della barriera inibitoria nei confronti della sessualità perpetuato dalla civiltà... Pensate tra breve la rete sarà invasa da miriadi di piumasolletica (forse anche peggio)